In oltre tre anni di guerra, la Russia è stata bersagliata da decine di pacchetti di misure restrittive. Sanzioni «senza precedenti», che però si sono rivelate non essere la proverbiale "pallottola d'argento"
MOSCA - Nel dubbio: nuove sanzioni. A oltre tre anni dall'inizio della guerra in corso in Ucraina, la Russia è stata falcidiata da raffiche di sanzioni. La sola Unione europea, numeri alla mano, ne ha approvati ben 17 pacchetti, l'ultimo dei quali solo una decina di anni fa. Sanzioni che, colpo su colpo, avrebbero dovuto mettere in ginocchio l'economia russa. O almeno, questo è quanto si è detto nel corso di questi anni, con tanto di improvvisate date di scadenza. Così, invece, non sembra essere andata. Le sanzioni non stanno funzionando?
La Russia esporta principalmente energia - nella forma di gas e petrolio -, materie prime, grano e fertilizzanti. Lo fa in enormi quantità e in quanto tale, è un bersaglio difficile per le sanzioni. Lo si è visto bene nell'estate del 2022, pochi mesi dopo l'invasione dell'Ucraina, quando Mosca ha chiuso i rubinetti del gasdotto Nord Stream 1, gonfiando a dismisura (per mesi e mesi) le fatture di elettricità e gas delle economie domestiche europee e, contestualmente, allargando la prima crepa nell'unità d'intenti dei governi in quel di Bruxelles.
Nel dicembre del 2022, l'Ue aveva introdotto un tetto massimo al prezzo del gas russo. La misura è scaduta all'inizio del 2025, senza essere mai entrata ufficialmente in vigore. E in ogni caso, Mosca impiegò a suo tempo poco ad aggirare le intenzioni europee e del G7. Non solo dirottando le sue esportazioni verso altri lidi, su tutti la Cina e l'India, ma arruolando una flotta ombra di navi cisterna per portare il greggio e il gas fuori dal paese, da rivendere, in barba a qualsiasi restrizione. Inoltre, non va dimenticato che molti paesi europei continuano tuttora ad acquistare, anche se in quote minori, petrolio e gas direttamente da Mosca.
Le sanzioni? Non sono una pallottola d'argento
Tutto questo non significa che le numerose sanzioni economiche promosse in questi anni non abbiano avuto alcuni impatto sull'economia dell'Orso. Di certo, non sono state quella "pallottola d'argento" da molti pubblicizzata; perché le sole sanzioni non sono sufficienti a mettere la parola fine su una guerra di questo tipo e perché, per definizione, hanno dei contraccolpi che provocano "dolore" anche a chi le infligge. E questo si traduce nel limitarne l'inasprimento oltre una certa soglia. E anzi, le "raffiche" di questi anni hanno altresì fornito qualche carta da spendere anche alla propaganda del Cremlino, che ha potuto spendere apertamente il concetto di una guerra «dell'Occidente» contro la Russia.
Mosca e l'economia di guerra
Infine, non per importanza, c'è la conversione dell'economia russa, diventata un'economia di guerra "a tempo pieno". Anche questo ha dato il suo, pesante, contributo nell'attenuare l'impatto delle sanzioni occidentali. Così facendo, la Russia ha rinvigorito alcuni settori industriali, ha incorporato imprese pubbliche (e non solo) nella produzione militare e ha compensato le perdite di posti di lavoro.
Le fabbriche che prima producevano automobili, per fare un esempio, oggi producono carri armati. E per quanto riguarda i rifornimenti, se da un lato Mosca si è ritrovata tagliata fuori dai fornitori di componentistica occidentali, dall'altro ha ampliato le sue relazioni commerciali con altri governi (di nuovo la Cina, ma anche l'Iran e la Corea del Nord) per garantirsi tutto il necessario. Magari a scapito della qualità, ma garantendosi così la sostenibilità della guerra, almeno con un orizzonte di breve o medio periodo.