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Uno torturava le sue prede, l'altro strangolava i bambini

Giorgio Galusero, ex tenente di polizia ospite di Tio Talk, ha vissuto l'era di due veri mostri. Quando tutta la Svizzera era nella morsa dei serial killer.
Uno torturava le sue prede, l'altro strangolava i bambini
Foto tio.ch
Uno torturava le sue prede, l'altro strangolava i bambini
Giorgio Galusero, ex tenente di polizia ospite di Tio Talk, ha vissuto l'era di due veri mostri. Quando tutta la Svizzera era nella morsa dei serial killer.

SAVOSA - Michel Peiry e Werner Ferrari. Due personaggi che hanno seminato l'orrore nella Svizzera degli anni '80. E che hanno "contribuito" a introdurre la legge sull'internamento a vita per i criminali estremamente pericolosi, senza possibilità di recupero. Giorgio Galusero, ex tenente della polizia cantonale ticinese, ospite di Tio Talk, ne è convinto: «Ci sono persone che non possono uscire di prigione. E ci dovranno restare davvero per sempre».

Lei ha avuto a che fare direttamente con Michel Peiry, il sadico di Romont.
«Aveva l'abitudine di andare a caccia di autostoppisti. La sua macchina era una specie di trappola. Si poteva entrare, ma non si poteva uscire. Le sue vittime, tendenzialmente giovani uomini, venivano torturate, violentate, picchiate. E poi bruciate».

Ci fu anche un ticinese tra le sue vittime. Era il 1986.
«Per questo nell'inchiesta fu coinvolta anche la nostra polizia oltre a quella Romanda. Con il collega Alfredo Pronzini interrogammo a lungo Peiry a Bellinzona. Non intravidi mai in lui un briciolo di umanità».

Peiry aveva colpito in mezza Europa. E anche in America.
«Sempre con lo stesso "modus operandi". Non l'ho trattato coi guanti di velluto. Sono un essere umano, era difficile sentire certi suoi racconti e restare indifferenti».

All'apparenza sembrava una persona normalissima.
«Quasi invisibile. Aveva anche le sue passioni. Amava la speleologia, ad esempio. L'indagine fu complessa. La sua cattura avvenne in seguito alla testimonianza di una vittima, rimasta viva per miracolo. Il suo identikit finì sui giornali. E il fratello di Peiry si presentò in polizia dicendo: "Potrebbe trattarsi di mio fratello". Peiry venne arrestato il primo maggio del 1987 mentre stava facendo un corso di ripetizione per il militare».

Quelli erano anche gli anni di Werner Ferrari, il "killer dei bambini".
«Sì. Un uomo nato a Basilea, ma di origini ticinesi. Agiva prevalentemente in Svizzera interna. Catturava le sue prede durante le sagre, le feste campestri. Tutti bambini o ragazzini. Li violentava e li strangolava».

Ferrari aveva già avuto un precedente che l'aveva portato in carcere nel 1971.
«È vero. Un precedente molto simile ai fatti commessi in seguito. Lo condannarono a dodici anni di carcere. Ma lo lasciarono uscire prima, nel 1979, giudicandolo "guarito". Dal 1981 ha ripreso a colpire. Fino al 1989, momento del suo nuovo e definitivo arresto. Anche in quel caso la segnalazione di un testimone fu decisiva».

Otto anni di mostruosità che forse si sarebbero potuti evitare.
«La polizia non lavorò bene. Molti bambini sparivano. E nessuno prese in considerazione Ferrari, una persona che era stata in carcere per fatti analoghi. È vero che all'epoca non c'erano internet e le banche dati. E nemmeno l'esame del DNA. Però è assurdo».

Ancora oggi nessuno sa esattamente quante sono state le vittime di Peiry e di Ferrari.
«È così. Potrebbero essere oltre una ventina. Alcuni delitti sono stati confessati. Altri ritrattati».

Anche Ferrari appariva come un uomo apparentemente innocuo. Non le capita di pensare che tra noi potrebbe esserci un altro personaggio tanto brutale?
«Certo che ci penso. Ed è altrettanto certo che mi fa paura. Penso sia umano pensarci».

Questi due personaggi hanno avuto un ruolo nel cambiamento della legge svizzera.
«Verissimo. In seguito alle loro cruente gesta nel primo decennio degli anni 2000 subentrò la legge sull'internamento a vita dei criminali estremamente pericolosi e refrattari alla terapia».

Peiry e Ferrari sono tuttora in prigione.
«E, nonostante il loro caso di tanto in tanto venga riesaminato, ci resteranno probabilmente per sempre. Ferrari d'altra parte ha già dimostrato di essere pericoloso dopo la prima esperienza carceraria. Peiry ha le stesse caratteristiche».

Lei pensa che in carcere un criminale possa davvero ritrovare la retta via?
«Io penso di sì. La funzione del carcere deve essere anche quella. Però dipende davvero dal caso. Ci sono persone che hanno impulsi troppo forti e che non reagiscono ad alcuna terapia. Questi individui non possono tornare in mezzo alla gente».

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